Il miglior cinema del 2018.
La lettera di Woody Harrelson e lo starnuto sanguinoso in 3 Billboards Outside Ebbing Missouri, il turismo inetto e svuotato e il finale docu-fiction in The 15:17 To Paris, la paranoia generata da Unsane, “Se bastasse una sola canzone…” in C’est La Vie, le canzoni e il bianco e nero di Cold War, il sollucchero prima di vedere The Ballad Of Buster Scruggs in sala a Venezia75, l’episodio iniziale, la battuta finale di J.Franco, “…of the people, by the people, for the people”, f’n Tom Waits in The Ballad Of Buster Scruggs, complimentarsi per strada con Ethan Coen, le biciclette, gli Psychedelic Furs, Michael Stuhlbarg nel finale in Call Me By Your Name, i classici di Powell & Pressburger, le apparizioni del lupo, la musica che se ne va, guardare Lazzaro e pensare a Bruno S in Lazzaro Felice, i dialoghi di Green Book, “Io non sono imparziale” e il ricordo su un sacerdote in Santiago Italia, Pattinson e la bimba, l’erotismo selvaggio della Binoche e le altre mille suggestioni in High Life, le capigliature afro e i montaggi paralleli di Blackkklansman, la neve di Wind River, parlare di Abruzzo con Willem Dafoe, la pienezza dei tempi morti di Dragged Across Concrete, la figaggine assoluta di Claire Foy che presenzia a tutti i festival, essere l’unico a non schifare La Quietud, i primi piani degli attori e le tonalità di giallo di If Beale Street Could Talk, odiare Carey Mulligan in Wildlife, la fotografia e i combattimenti di Shadow, l’asciuttezza maniacale ed ellittica di Zan, le passeggiate sulla croisette, il tuxedo al Palais, “Message In a Bottle” che risuona, ti giri e c’è Sting a Cannes, la tenerezza sommessa e i dialoghi reimmaginati con i pupazzetti in Corpo e Anima, dire a Viggo Mortensen che non è solo fantastic ma anche Captain Fantastic, poter vedere un film inedito di Orson Welles nel 2018 in sala, le sequenze a colori del film stesso, tutte le meravigliose e sagaci chiacchiere di Double Vies, le intime “routine” di Sally Hawkins, la torta verde e in generale tutto il verde di The Shape Of Water, non dimenticare la bellezza di The Shape Of Water quando a fine anno se la sono scordata tutti, incrociare Del Toro, dirgli che Cronos è un grande film e vedere una soddisfazione genuina e pacioccona nel sentirselo dire, il cellulare distrutto in sala al termine di Mandy che riesce a placare la gioia derivata dall’effettiva fine di Mandy, il mappazzone genuino di Kim Ki Duk, Marcello Fonte che esiste, che alza premi e che pettina cani, Matteo Garrone che esiste e che torna (nient’affatto imbalsamato) sul luogo del delitto, Matteo Garrone versione loquace in un incontro a Venezia, tutti i cani di Dogman e tutti i cani di Isle Of Dogs, il red carpet di Isle Of Dogs alla Berlinale con Bill Murray e Wes Anderson che suonano le percussioni, il fastidio provato durante, subito dopo e mesi dopo The Nightingale, l’andirivieni fra Massimo e Reposi al TFF, guardare i volontari del TFF mentre lavorano allo stesso modo in cui i vecchi guardano i cantieri, l’incontro con David Cronenberg detto il Sommo e il suo Leone D’Oro alla carriera, la meraviglia di fronte alla sapienza e l’oculatezza registica di The Post, gli abbiocchi saltuari a Venezia, MARTIN SCORSESE a Roma e tutti i suoi racconti e i suoi aneddoti, la cacca raccolta, i fanali rotti, tutta l’acqua che c’è in Roma e fondamentalmente ogni inquadratura di Roma, Helena Howard che ti lascia completamente attonito in Madeline’s Madeline, la scena in spiaggia, la bambina che guarda l’altrove, le madri, i padri, le nonne, i figli: la Famiglia in Shoplifters, il dialogo-confessione in salotto, la levitazione, il Bacio, il rigore formale di First Reformed, vedere Gary Oldman alzare quel fottuto Oscar, pedinarlo fuori dalla hall dell’incontro a Cannes, chiamarlo Gary come se fosse mio fratello e chiedergli una foto. Tutte gli amici dei festival e le chiacchierate fiume. I bambini che giocano nel fango, la saliva che manca e non la si trova, la scena aerea con monologo, “we’ve got to get in to get out”, il nostro tempo in Nuestro Tiempo. Riuscire ad entrare alla proiezione di Transit, gli eterni ritorni al baretto in Transit, lo straniamento spazio-temporale in Transit, Franz Rogowski in Transit, Road To Nowhere dei Talking Heads messa in chiusura di Transit, in pratica tutto Transit.
I foulard, gli occhiali cadenti sul naso, i palloncini e il ballo, le musiche, i vestiti, i vestiti, i vestiti, prendere l’ordine con IL sorriso, l’innamoramento, l’amore, il riadattamento, il risentimento, i funghi, la malattia, la riappropriazione, la persistenza, la coppia, la vita, l’universalità, il cinema, l’eternità. Phantom Thread.